Il nostro volo
Se immaginassi di poter volare, piuttosto che a grandi ali, oggi penserei al volo di una farfalla, leggero, impalpabile, discreto e pronto ad incantarsi e a posarsi su tutte le concentrazioni d’energia, che siano uomini, animali, forme di vita.
Mi riesce difficile comprendere il concetto di “differenza”. Mi mette in difficoltà capire come la diversità possa generare pregiudizio, indifferenza, allontanamento. Sarebbe come riuscire a comprendere gli eventi del razzismo, dei regimi totalitari, degli olocausti, di tutte le situazioni nelle quali gli uomini hanno determinato la vita di altri uomini.
A volte, ascoltando l’opinione della gente, mi sembra di cogliere il fatto che tutto inizi e termini nell’attimo in cui le persone si incontrano, si vedono. L’attimo in cui il diverso diventa sbagliato e non riusciamo a separarci dalla sua immagine. La nostra vista si collega al movimento interiore e manda in tilt la nostra capacità di relazionarci, di avere uno scambio.
Così, riportiamo dentro di noi soltanto il ricordo di un fotogramma, il click sordo di un pulsante che non riesce a scattare una foto, a sviluppare quell’immagine per farla nostra, lasciando che ci coinvolga e si lasci contaminare. Spesso lasciamo che si chiuda il diaframma sull’inquadratura e tutto questo diventa paura, pregiudizio, chiusura, limite. La non accettazione dell’altro forse inizia da quel primo incontro, da quella foto non scattata. Forse dovremmo imparare ad ascoltare, parlare, toccare, condividere, concedendo all’altro gli stessi criteri di scambio che riserviamo al nostro capoufficio sgradevole, al nostro professore integerrimo, al nostro vicino sgarbato.
Forse dovremmo domandarci perché abbiamo paura che una persona fisicamente diversa ci limiti, crei delle difficoltà alla nostra vita; forse dovremmo domandarci che tipo di dolore ci rinnova, che cosa ci ricorda. Schermati da un bell’aspetto fisico, ci proponiamo ad una società che – abbiamo imparato – sa riconoscerci ed accoglierci certi di poter nascondere le nostre inabilità e le nostre immobilità concettuali. Pensiamo spesso di essere entrati nell’altro, nella relazione con lui, soltanto per aver superato l’impatto visivo e fisico.
Tanta informazione recita che qualcosa sta cambiando, che molti lavorano affinché cadano definitivamente tutti i pregiudizi legati alla diversità. Io credo che il nostro sistema debba attraversare ancora qualche fase evolutiva affinché gli uomini comprendano la profonda ingiustizia di esercitare un potere così discriminante e violento nei confronti di altri uomini. Credo che debba modificarsi la nostra cultura in modo tale che nella scuola e nella famiglia i nostri bambini trovino il giusto sostegno per conservare come un grande patrimonio la loro innata capacità di relazionarsi, di vivere l’altro senza pregiudizio. Se non riusciamo a fare altro, perlomeno dovremmo evitare di condizionarli, di intervenire….
Non è certo nella costruzione in marzapane del paese delle meraviglie che dovremmo indirizzare il nostro impegno, ma semplicemente verso una società che preveda che ogni persona possa contribuire con la propria sensibilità e capacità a migliorare l’andamento del nostro sistema, interagendo nel mondo del lavoro, della scuola e delle relazioni.
Editoriale di Paola Anelli
tratto da La Farfalla N. 5 Novembre / Dicembre 2001